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Etica, Impresa, Solidarietà

Relazione

di Riccardo Milano

 Premessa:

-        Tale riflessione cade, poi, in un momento storico come l'attuale, incentrato su di una “crisi”, che si sta dimostrando sempre più “culturale e sociale” piuttosto che solo economico/finanziaria ed in cui il mondo delle imprese, della finanza e dell'economia hanno bisogno di respirare aria nuova. Infatti siamo costretti, e forse per fortuna, a rivedere il nostro atteggiamento e pensiero rispetto a quel “perché” si fa una scelta economica e in nome di chi.

 

-        Se si va poi a vedere il nostro ordinamento giuridico (in particolare il C.C. - Titolo II, Capo I – art 2082 e ss. e la susseguente giurisprudenza e letteratura) sull'impresa e sull'imprenditore ne emerge una realtà viva e sociale di altissimo rilievo che bisogna effettivamente tutelare e che non dev'essere, però, fine a se stessa/o. Il “cosa fare?” è quindi assicurato.

 

-        Il problema che noi oggi affrontiamo (di fatto: può un'impresa essere solidale? Il comportamento etico dovrebbe essere la normalità...) va visto sì in termini di storia passata e, logicamente, di presente, ma soprattutto in ottica di futuro in quanto, e per mille ragioni, l'impresa dovrà svolgere la sua attività con nuove prospettive.

 

Relazione:

 

-        Un aforisma di Denis Diderot recita: “Non basta fare il bene, bisogna anche farlo bene." Cosa vuol dire, in pratica? Per me questa affermazione ha ai nostri fini una duplice valenza:

-        lavorare bene, creare ricchezza per se e per i lavoratori;

-        lavorare bene, creare ricchezza per gli stakeholder con attività di sostegno di vario genere per la persona umana in genere. Ciò vuol dire rendere conto (Accountability) di quanto fatto come azienda nel creare ricchezza (economia e cultura) nel territorio In altre parole: essere solidali.

 

-        Un po' di storia: come si sa, fino al 1700 l'Economia veniva studiata all'interno della Filosofia Morale. Ciò significava un'unità d'intenti sul come e il perché della vita, anche economica. In pratica si cercava di perseguire il bene della società e dell'individuo, ma con un'economia non dico informale, ma molto limitata. A Napoli, nel 1745 nasce la prima facoltà di Economia con l'Abate Antonio Genovesi che con le sue lezioni di Economia civile, commercio e Meccanica, porta a maturazione un percorso di Economia Civile di cui parleremo. Ci si basava ancora sulla Felicità di stampo aristotelico, ma si mettono le basi per una nuova Economia di sviluppo.

 

-        Poi, dopo la lezione dell'Economia Politica e Capitalista di origine scozzese (Adam Smith, teologo morale), ha inizio pian piano la Scienza economica che ha condotto sia all'industrializzazione (le varie Rivoluzioni industriali) che hanno fatto percorrere alla persona umana passi da gigante in tanti senso (salute – la vita si è allungata di molto -, ricchezza, benessere, …), specie e soprattutto in Occidente, e sia, però, tramite l'Utilitarismo, anche a tante storture sociali ed antropologiche (si veda la lezione di George Simmel[1] sul denaro).

 

-        Di fatto, la visione capitalistica (in senso tecnico e non politico) ha condotto ed accompagnato l'Uomo in questi ultimi due secoli, con tante problematiche ma anche con tante nuove esperienze (si pensi al Welfare) verso quello che oggi siamo.

 

-        Ora la crisi sta cambiando gli antichi schemi e si abbisogna di un nuovo paradigma economico, visto che si è anche permesso di dar spazio alla Finanziarizzazione dell'Economia, che ha tentato di cambiare addirittura il ruolo del vivere, reimpostando la quotidianità e la vita stessa non più fondante sul lavoro, ma sulla rendita. L'impresa quindi non più come bene collettivo da cui generare un senso del lavoro (come recita anche la legislazione italiana), inteso sì come sacrificio, ma anche come realizzazioni dei propri saperi e della propria manualità. Le contrattazioni finanziarie sempre impostate all'accumulazione di capitale slegato dall'economia reale (sebbene l'attività finanziaria sia e/o dovrebbe essere al servizio dell'attività economica) hanno dato, come una vittoria di Pirro, ingenti quantità di denaro fittizio (si ricordi che i soli derivati presenti sul mercato sono 10 volte il PIL del mondo[2]) che hanno arricchito le persone (ma poche), e paradossalmente, hanno dato in beneficenza molto di più di quanto era possibile con l'impresa: denaro però sterile, non frutto di sudore e basato su di un'ambivalenza sua intrinseca che poi non poteva che riversarsi contro tutti in questa crisi. Denaro frutto di speculazioni finanziarie che non solo non ha dato contributi allo star meglio dell'umanità, ma che ha addirittura peggiorato il quadro mondiale[3]. Si possono, quindi, avere dubbi su di un simile mercato e sull'etica soggiacente? Io credo fermamente di si.

 

-        Ed ora cosa fare? Bisogna ritornare ad alcuni concetti dell'Economia Civile coniugata con l'Economia Capitalistica e con il mondo del Welfare. Una cosa nuova! E forse l'unica in grado di tirarci fuori dalle secche in cui siamo... Bisogna mettere insieme realtà quali lo Scambio d'equivalenti (tipica dell'Economia Capitalistica), la Ridistribuzione del reddito (tipica del Welfare) e la Reciprocità (tipica dell'Economia Civile). Di fatto bisogna che tutti noi torniamo indietro dalla realizzazione del BENE TOTALE, cui siamo stati abituati, a quella del BENE COMUNE[4].

-        Credo che il futuro sia questo, così come propone anche l'Enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI. Solo così sarà possibile coniugare, in base alla Reciprocità, concetti di cui si è abusato, come quello della solidarietà[5] e che bisogna ricominciare a reinterpretare. Mi riferisco all'integrazione con la Fraternità[6], la Gratuità, l'Economia del Dono, e così via... e che non è affatto vero che sono concetti non economici. Infatti essi sono fondamentali nella realtà economica. L'azienda, prima attrice di ciò in quanto “opera” sia con le persone che con le materi prime e con il denaro, vive nel suo intimo e non solo sulla sua pelle, questa realtà di essere da una parte un motore di sviluppo, ma dall'altra anche una fonte di energia con la ridistribuzione del reddito e la capacità della stakeholder value (che per certi versi si contrappone alla shareholder value, … molto più di moda).

 

-        Dove questi concetti, in modo embrionale o in modo acclarato sono presenti abbiamo delle aziende dove la R.S.I. si vive intrinsecamente, anche se magari non supportata da Bilanci Sociali[7], ecc. E queste aziende rispondono molto meglio alla crisi.

 

-        È dalla conoscenza di ciò che l'impresa può guardare agli altri con occhi nuovi, sostenere non solo il mercato come oggi si dice (ossia di prassi quello finanziario), ma quello vero, reale, sociale, ossia quello che ha iniziato a formarsi nell'Italia dei Comuni anche con l'apporto dell'Economia Francescana e che è TUTTORA valido.

 

-        Certo, oggi l'impresa stessa deve cominciare ad interrogarsi su cosa produrre per il futuro, con quali limiti e con quali modalità. La questione ambientale, la questione umana ed antropologica in senso lato del mondo, e così via, pongono problemi alla crescita o, meglio, allo sviluppo. Quanto possiamo ancora produrre? Cosa dobbiamo e non dobbiamo produrre?

-        Implicitamente si ripropone la domanda di sempre, così come ben interpretata da Erich Fromm: “Avere o essere?” Un'impresa attenta a queste sfaccettature, ossia l'impresa che vuol costruire veramente e seriamente qualcosa di valido e di duraturo, deve pensare a ciò e non solo alla “crescita” dei suoi bilanci. Anche la ricchezza ha dei limiti sia soggettivi che oggettivi e di questo bisogna tenerne conto.

 

-        La crescita umana, civile, di capability[8] del mondo più povero, e così via, non può passare solo dalla beneficenza e dalle elargizioni, ma da un nuovo spirito imprenditoriale in tutto il mondo. Una massima dell'Economia Francescana recitava: “L'Elemosina aiuta a sopravvivere ma non a vivere, perché per vivere occorre il lavoro, la produzione”. Oggi, quindi dobbiamo costruire un qualcosa per le generazioni future, come mutualità generazionale, che sappia coniugare il benessere con il ben-essere. Non è cosa da poco...

 

-        A questo punto, però, non si può lasciare sola l'impresa (sia quella che dona e sia quella che non dona in quanto concentrata solo sui profitti per un arricchimento), ma bisogna che vi sia un'opera di istruzione e formazione di noi tutti, della popolazione, specie di quella sensibile. Bisogna ricominciare a ripensare il senso del risparmio, dell'investimento, della produzione che non sono monadi, ma che vivono in un sistema integrato nel quale convivono ambiente, responsabilità personale, capability, ben-essere individuale e collettivo, e così via.

 

-        Dobbiamo renderci conto della lezione del passato che ci ha concesso negli scorsi secoli sia la povertà e sia la ricchezza: oggi il travaso di ricchezza, per certi versi, dai paesi occidentali, una volta ricchi ed in costante sviluppo, ai paesi che erano poveri (si pensi ai BRICS) ci pone sfide nuove che non si risolvono solo studiando i manuali di economia, ma anche quelli di altre discipline; tuttavia ad una sola condizione: guardando l'uomo, l'uomo comune, in faccia, così come ci ha insegnato Emmanuel Lévinas non molto tempo fa ma che abbiamo, ahimè!, troppo in fretta dimenticato.

 

Conclusione:

 

-        Quanto ho scritto nel mio abstract, ossia la domanda socratica della vita (cui va aggiunta la problematica de “Il cammino dell'Uomo” di Martin Buber: “Adamo, dove sei?”) e l'affermazione benedettina, ci inducono a ripensare necessariamente in questo momento storico sia la Politica (il senso dello Stato e della sua amministrazione), il senso dell'Impresa e del lavoro, dell'Economia e della Finanza e anche e soprattutto dei rapporti umani – si pensi, ad esempio, la crescente immaterialità delle relazioni).

 

-        Una cosa è però certa: la prospettiva futura del vivere non potrà che privilegiare in maniera organica sviluppo, ambiente e rispetto delle persone. Nel passato abbiamo quasi sicuramente sbagliato a vedere queste problematiche in modo separato e oggi ne paghiamo le conseguenze.

 

-        Attività di senso come la Finanza Etica, il Mercato Equo e Solidale, la Responsabilità Sociale d'Impresa, la riaffermazione costante da parte della D.S.C. (anche se sembra non con tanto successo) dei Nuovi Stili di Vita, e così via, ma in pratica e in modo omni- comprensivo l'Economia Civile, oggi s'impongono come dei must irrinunciabili.

 

-        La Solidarietà non è solo un'opera etica e/o di buon cuore, ma una necessità purché espressa, come detto, con nuove formule quali la fraternità, la gratuità, e così via. Non ho dubbi che il Cittadino, la Pubblica amministrazione, la stessa Impresa che farà così avrà un surplus di qualità e di utili e sarà premiata non perché “fa del bene”, ma perché applica la “giustizia”, specie quella “distributiva” che porta alla ricchezza di tutti.

 

-        L'affermazione di Diderot va, quindi, ripresa: “far bene il bene” non è certo facile ma è obbligatorio sia per la propria “salvezza” che per quella altrui.

 

-        Concludendo: Etica (ossia il comportamento di chiunque), Impresa e Solidarietà sono una cosa sola e giammai trialistica (o dualistica in senso ampio), ma esse sono all'interno di uno stesso disegno, esattamente come l'antropologia biblica insegna (corpo ed anima sono una cosa sola). Il perseguire per un'impresa un'attività solidale/assistenziale, specie quella che nasce dal profondo dell'impresa stessa come frutto di una meditata elaborazione di un pensiero sociale (come ci stanno insegnando coloro che siedono a questo tavolo) non ci può che tranquillizzarci per il futuro, nella consapevolezza che quanto fanno va nella direzione non di una mera beneficenza, ma di quella dello sviluppo dei popoli, così come auspicava l'Enciclica Populorum progressio di Paolo VI.

 

Speriamo, ma dobbiamo tutti darci da fare, che questo pensiero si allarghi sempre di più.

 

 

 

Grazie

 



[1]          per Simmel il denaro è l’origine e la causa della depersonalizzazione e dell’estraneità dell’uomo moderno sia a livello sociale che a livello individuale; infatti, l’unica qualità che definisce il denaro e lo caratterizza in quanto tale consiste unicamente nella quantità, ossia nella pura impersonalità che si manifesta con tutta la sua potenza negli scambi monetari. Impersonalità, imparzialità, neutralità sono le non-qualità che caratterizzano il denaro come grandezza esclusivamente quantitativa; esso evita la guerra guerreggiata ma innesca un conflitto astratto e dialettico che non porta alla morte ma alla povertà e alla sottomissione economica e culturale se non alla schiavitù degli uomini e dei popoli sconfitti.

[2]   Altri dati sono: una singola banca statunitense detiene strumenti derivati per un nozionale che si aggira sui 78.000 miliardi di Dollari. Complessivamente quattro banche controllano un ammontare di derivati intorno ai 200.000 miliardi di Dollari. “L'eccessivo” debito pubblico italiano, una delle prime 10 economie del pianeta, è circa l'1% di questa cifra.

        I beni e servizi importati ed esportati nel mondo tra diverse nazioni ammontano a 20.000 miliardi di Dollari all'anno. Il commercio di valute ha superato i 4.000 miliardi di Dollari al giorno. Questo significa che circola più denaro in soli 5 giorni sui mercati finanziari che in un intero anno nell'economia reale, o, in altre parole, che circa il 99% delle operazioni sul mercato delle valute non è legato a beni e servizi prodotti e scambiati, ma unicamente a guadagnare sulle oscillazioni valutarie. Soldi che inseguono altri soldi per fare altri soldi.

    Negli U.S.A. Il 70% delle operazioni sui mercati finanziari è seguito da computer, senza nessun intervento umano. In Europa tali operazioni sarebbero “solo” il 40% del totale. È il cosiddetto Hight Frequency Trading o commercio ad alta frequenza in cui le transazioni sono realizzate nell'arco di alcuni millesimi di secondo.

        Solo in Usa il sistema bancario ombra - tramite i Paradisi fiscali - nel 2007, ossia alla vigilia della crisi, valeva $ 20.000 Mld a fronte di quello ufficiale con $11.000 Mld. Come a dire che ogni filiale bancaria Usa aveva alle spalle due filiali “fantasma” strettamente legate alle stesse banche, ma al di fuori di ogni controllo. Si aggiungano poi anche le dark pool, ossia piattaforme finanziarie sulle quali si contratta in forma anonima. Ogni giorno vi si negoziano 15 mila miliardi, rigorosamente fuori dai radar delle normative internazionali sulla trasparenza. Nel 2010 il totale delle transazioni valeva € 500.000 Mld, ed è in costante aumento. Bnp Paribas, Deutsche Bank, Credit Suisse, Société Générale sono tra le grandi banche che utilizzano questi strumenti. Ma non è finita: sono state create anche le Multilateral trading facility (Mtf) che sono delle piazze parallele a quelle ordinarie. In altre parole, si tratta di uno dei più ampi segmenti dei mercati Over-the-counter (Otc), non regolamentate. All'interno dei sistemi Mtf si possono scambiare titoli, obbligazioni, liquidità, esattamente come in una Borsa regolamentata.)

[3]   E oggi possiamo dire che abbiamo tutti perso sia con il forte ridimensionamento del risparmio investito, per gli andamenti mondiali delle attività finanziarie, e sia i posti di lavoro con la crisi industriale e lavorativa.

[4]   La differenza tra Bene Comune e bene Totale è: mentre il “Bene Totale” ragiona per addizione dei singoli beni individuali, il “Bene Comune” ragiona per prodotto dei beni individuali. Ora si sa che in un'addizione, se alcuni addendi hanno valore “0” la somma non cambia (se c'è un ricco con 1 Mld e cento poveri con pochi soldi, la somma tiene sempre conto del Mld dell'unico ricco). Ma se si ragiona con la logica del prodotto, allora basta che ci sia un solo “0” e tanti altri fattori anche grandissimi e il prodotto finale sarò comunque “0”! Il che vuol dire che se non tengo conto delle persone in difficoltà, il cui benessere è prossimo a “0” non vale più la logica del “Bene Comune”. In altri termini: Il bene comune è il mio bene ASSIEME al tuo e a quello degli altri.

[5]   Possiamo definire la Solidarietà come quel principio di organizzazione sociale che permette ai diversi di essere uguali.

[6]   Possiamo definire la Fraternità come quel principio di organizzazione sociale che permette agli uguali di essere diversi. Di fatto il rispetto più autentico.

[7]   Evidentemente se ci sono è meglio!!!! Come anche le altre formule di R.S.I.

[8]  Come designata da A.K.Sen