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Abstract

Etica impresa solidarietà

di

Riccardo Milano

Trento, 14 Febbraio 2013

La domanda socratica[1]: “come bisogna vivere?” e l'affermazione benedettina: “ora et labora”[2], da una valenza universale di senso della vita, comportano anche una riflessione sul senso del lavoro e, quindi, dell'Economia in generale.

Il senso del lavoro come costruzione del Regno, con la manualità e l'intellettualità tipiche dell'uomo, fa sì che tutto il rapporto economico[3] nascente e soggiacente sia di ausilio allo sviluppo umano e sociale: di conseguenza non è mai l'uso dell'arricchimento (personale e/o collettivo) come fine ultimo dell'agire, ma quello della ricchezza[4] comune per cui la crescita umana[5] va di pari passo con il rispetto della natura e dell'ambiente, proprio in un'armonia del creato.

Come la storia ci insegna, tale percorso si è andato modificando passando man mano dall'Economia, con l'Economia classica (in cui preminente era l'aspetto della ricerca della “felicità” e della ricerca di senso dell'uomo, grazie anche alla reciprocità), alla Scienza economica, con l'Economia neoclassica o marginalistica (in cui ci si basa quasi solo esclusivamente sullo scambio di equivalenti e la redistribuzione) facendo leva sia sull'Utilitarismo e sia sul profitto. Ciò fino ad arrivare alla cosiddetta querelle “Friedman contro Freeman” - nella seconda parte dello scorso secolo - sulla Responsabilità Sociale d'Impresa (ma in ultima analisi sul senso di fare impresa) dove per il primo[6] il dovere etico dell'impresa si limita al perseguimento del massimo profitto e all'obiettivo di aumentare la ricchezza degli azionisti; per il secondo[7], invece, la responsabilità sociale è la scelta ottimale dell'impresa che vuole minimizzare i costi di transazione e potenziali conflitti con tutti i portatori d'interessi (stakeholder). Tale concezione è, a mio pare, molto più realistica poiché riconosce l'imperfezione del nostro mondo ed è consapevole dello sforzo di noi tutti (imprese, cittadini ed istituzioni) per superare tali imperfezioni; ciò a differenza di Friedman la cui posizione ha senso in una società perfetta, dove esistono regole certe che limitano la possibilità d'arbitrio delle imprese (es. fare più soldi per gli azionisti abbassando il grado di tutela e di sicurezza sul lavoro) e in cui le Istituzioni e le Regole svolgono adeguatamente il compito di tutela degli interessi collettivi e delle esigenze redistributive.

La finanziarizzazione dell'economia, iniziatasi negli anni '70, ha poi spostato l'ottica dall'impresa e dal lavoro (è il lavoro che dà da vivere e produce reddito) alla finanza che fa leva sul fatto di “fare soldi con i soldi” e di puntare più che altro alla rendita e al vivere di rendita (e non di lavoro).

Da qui, sia la formazione di una enorme bolla di ricchezza che successivamente ed in poco tempo, dapprima con le tante crisi e poi con lo scoppio di “questa” crisi epocale, ha distrutto sia la ricchezza finanziaria e sia quella del lavoro (e lasciando tutto il mondo più povero ed insicuro ).

Ne deriva, quindi, la necessità di un ritorno a teorie economiche che abbisognano di riprendere in mano una visione più concreta e antropologicamente sensata della persona umana che è fatta di spirito e corpo (con sentimenti) e non solo di razionalità economica.

Argomenti come bene comune, beni comuni, condivisione, nuova economia sociale o Economia Civile, finanza etica, e così via, riportano a temi importanti quali l'Etica, il giusto comportamento, il senso del vivere e la ricerca di una vision per l'umanità. Lo stesso concetto di Profit/non Profit va oggi rivisto e coniugato, così come la Caritas in veritate sostiene[8] e in cui il Terzo settore deve farsi apportatore di attività veramente economiche e di nuova cultura[9], contaminanti, e non più svincolate da una necessaria ragione economica.

In tale contesto c'è necessità di un apporto personale di ciascuno di noi e nessuno può non considerasi un attore importante. Il compito di ricostruire una società ed un pensiero culturale, anche economico, è di tutti.



[1]             già utilizzata da Amartya Sen nel primo saggio Etica ed Economia che ha smosso il mondo economico reintroducendo fortemente l'etica. L'affermazione socratica è nel Gorgia di Platone

[2]             In verità l'allocuzione è: lege, medita ora et labora. Tuttavia non c'è nella Regola, né è stato coniato dai monaci, ma applicato ad essi da altri.

[3]             economia: dal greco οἴκος (oikos), casa inteso anche come "beni di famiglia", e νόμος (nomos), norma o legge; quindi amministrazione della casa

[4]              Si ricordi che la ricchezza include quasi sempre la cultura, mentre l'arricchimento è di solito solo accaparrare più beni possibili.

[5]             Famosa è la distinzione di Aristotele tra Economia (oikonomiké, funzionale al soddisfacimento dei bisogni della famiglia e della comunità) e Crematistica (chrematistiké, creazione di ricchezza conseguente all’accumulo di denaro per se stesso). In Etica Nicomachea, libro V

[6]             Milton Fridman è stato un importante pensatore/economista ed i suoi studi hanno influenzato molte teorie economiche, soprattutto in campo monetario. Fondatore della Scuola monetaristica di Chicago, è stato insignito del Premio Nobel per l'Economia nel 1976. Egli scrive: “Few trends could so thoroughly undermine the very foundations of our free society as the acceptance by corporate officials of a social responsibility other than to make as much money for their stockholders as possible.” In Capitalism and freedom. pag. 133 (“Poche tendenze possono minare in modo veramente profondo le fondamenta stesse della società libera come l'accettazione da parte dei dirigenti d'impresa del criterio della responsabilità sociale a differenza di quello di fare più soldi possibili per i propri azionisti”).

[7]    Robert. E. Freeman è un filosofo/economista americano ed è conosciuto per la sua teoria degli stakeholder.  

[8]             “Serve, pertanto, un mercato nel quale possano liberamente operare, in condizioni di pari opportunità, imprese che perseguono fini istituzionali diversi. Accanto all’impresa privata orientata al profitto, e ai vari tipi di impresa pubblica, devono potersi radicare ed esprimere quelle organizzazioni produttive che perseguono fini mutualistici e sociali. È dal loro reciproco confronto sul mercato che ci si può attendere una sorta di ibridazione dei comportamenti d’impresa e dunque un’attenzione sensibile alla civilizzazione dell’economia”.(38)

[9]             Si parla nella D. S. C. da tempo, forse da troppo tempo, di “Nuovi stili di vita”, purtroppo ancora senza molto successo pratico. Forse è tempo di chiamarli come “stili ordinari di vita”! Il “nuovo”, infatti, non fa ancora presa...