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Si svegliava quando ancora era buio.
Gli bastava un caffé della vecchia moka, che beveva stando in piedi, e via con due pacchetti di sigarette tenuti stretti nella mano destra e la camicia annodata alla pirata. Come fanno, a volte, i muratori.
Anche quando c’era la guerra civile e il Burundi grondava di sangue e gli agguati balzavano dalla foresta, lui sobbalzava in lungo e in largo il Paese con quel ferrovecchio di automobile, che ad ogni scossone era un terremoto di mattoni, lamiere, sacchi di cemento, martelli e attrezzi vari che ballavano nel cassone.
C’era d’andare a sistemare un acquedotto che perdeva, da finire le casette per i profughi, da avviare il cantiere per la nuova scuola, da lastricare una strada, da chiudere il tetto alla nuova chiesa.
E quando la sera tornava indietro raccoglieva i viandanti che incontrava lungo la strada. Qualche volta, anche se poi non è che li amasse tanto, per via delle armi, qualche soldato: «Dai, salta su che ti dò uno strappo».
Strade malandate, quelle africane, per chi aveva, come lui, qualche vertebra incrinata che tentava di tenere al suo posto usando una panciera di lana.
Pazienza e sopportazione: «C’è chi soffre di più». 
La sera, dopo la frugale cena con i confratelli e la preghiera delle 7 e mezzo, tornava nella sua cameretta, l’ ultima, in fondo a destra della Domus, senza più uno spazio libero e sotto un fioco di luce, tra mille carte, libri, attrezzi di lavoro, con squadra e matita disegnava un nuovo progetto. Come quando portò a termine il villaggio della Pace, 700 casette per gli sfollati. Un progetto voluto e sostenuto dall’allora Cardinale Ersilio Tonini con la Fondazione Pro-Africa.
All’ospedale di Parma, al sera del 4 gennaio, è morto padre Giuseppe De Cillia. Una malattia se l’è portato via a 78anni, dopo cinquant’anni di sacerdozio e di missione in Africa. Ordinato nel 1964, fu subito destinato al Burundi.
Missionario saveriano, padre Bepi, come lo conoscevano tutti, era nato a Plasencis-Mereto di Tomba (Udine) il 17 marzo del 1936. Fino all’anno scorso ha vissuto a Bujumbura, dando vita e speranza alle realtà più povere di quel Paese.
Il suo cuore è rimasto lì, in quel martoriato Paese, al terzo posto della lista di quelli più poveri al mondo, dove ora sono in tanti che lo piangono.
Le straordinarie capacità e doti uniche di missionario «costruttore», ma anche di prete «Rambo», soprannominato così dall’Ambasciata belga, per la sua ostinata tenacia quando si trattava di bussare alle porte giuste per portare aiuto e soccorso a chi ne avesse bisogno, si trasformavano in emozioni forti quando si trovava di fronte ai poveri.
All’«infaticabile costruttore» nel 2002 è stato riconosciuto il «Cuore amico».
Mentre nel 2010, il presidente della Repubblica del Burundi, Pierre Nkurunziza, lo ha indicato tra le 50 personalità che «fanno progredire il Burundi».

Claudio Monici