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Mi chiamo Veronica, ho 24 anni, sono nata e vivo in Italia. Tramite la partecipazione al progetto "Giovani solidali" ho avuto la grande opportunità di vivere un'esperienza al Centre Jeunes Kamenge a Bujumbura, Burundi.

Quando i miei amici e i miei parenti mi chiedevano quale fosse la scelta della mia meta e rispondevo "Ragazzi, vado in Burundi per tre settimane!" vedevo nei loro occhi degli sguardi increduli che sembravano chiedermi "Ma cosa ci vai a fare laggiù? Laggiù dove poi? Chissà dov'è questo posto!". Devo ammettere che quando era giunto il momento di decidere la mia meta, ho dovuto spulciare l'atlante alla ricerca di questo piccolo Stato, ma il mio indice guidato dal cuore, come attirato da una calamita, ha puntato dritto al centro dell'Africa. Ho passato il mese precedente alla partenza a spulciare la biblioteca alla ricerca di letture sul Burundi, purtroppo le notizie a tal proposito erano poche… Nel momento in cui sono partita, tutto quello che sapevo del Burundi erano nozioni apprese dalla nostra referente dell’Associazione Spagnolli, Elena, da libri e letture di testimonianze e da video in francese di cui avevo capito ben poco. Sono partita con una curiosità mai provata prima, potrei descriverla come una rispettosa voglia di conoscere questa realtà. Una realtà che definirei ambivalente, perché se da un lato troviamo in Burundi dei ragazzi che cercano di dimenticare tutti gli orrori che le generazioni precedenti hanno vissuto, dall’altro lato è ancora possibile sentire colpi di kalashnikov la notte e scontri con la polizia durante le manifestazioni, segno che la situazione non si è ancora tranquillizzata.

In effetti la prima cosa che ho notato appena atterrata nel piccolo aeroporto della capitale è stata la numerosa schiera di poliziotti, impettiti e fieri, che osservavano ogni movimento. I colori blu e verdi delle divise delle forze dell’ordine non ci hanno mai lasciato per tutta la durata del soggiorno. Si poteva sempre vedere un gruppetto di gendarmi, di poliziotti o di militari passeggiare nel caos della città, agitando il mitra come se tenessero in mano un giornale arrotolato.

Le strade di Bujumbura sono dominate da un arcobaleno di colori e di odori, ovunque si vedevano persone e praticamente tutte avevano non più della mia età… la popolazione del Burundi è davvero molto giovane. E poi biciclette, mototaxi, velotaxi, vecchi pulmini Volkswagen, tuk-tuk, che sfrecciavano e intrecciavano il loro tragitto pericolosamente. Donne sedute alle piccole bancarelle e bambini che ci giocavano attorno, mentre i mariti se ne stavano tranquilli al bar a svolgere il lavoro “da uomini”, ovvero la gestione dei soldi. Insomma, nel quarto d’ora di strada dall’aeroporto al centro (aggrappati alla sbarra arrugginita del retro di un pick up), io e i miei compagni di viaggio abbiamo potuto quasi dimenticare la nostra Europa, spazzata via prepotentemente dai ritmi dell’Africa. Avremmo potuto sentirci un po’ spiazzati, disorientati, ma non è stato così, non ci sentivamo abbandonati in questa realtà, ma tenuti per mano e accompagnati dagli animatori del centro e dai numerosi bambini potevamo stare sicuri.

Al centro si respira sicuramente un’aria diversa, rispetto a quella delle vie polverose dei quartieri nord. L’atmosfera è un misto tra fermento giovanile e “pacatezza culturale” e la cosa bella è che tutto e tutti sono ben accetti e trovano il loro spazio qui al centro: tutte le etnie, tutte le religioni, tutte le culture. Quando i ragazzi entrano al centro, annullano completamente la loro “diversità”, senza annichilire la loro cultura, ma anzi trovando dei punti d’incontro comuni che arricchiscono entrambe le parti. All’interno del centro sono tutti uguali, ma ognuno con le sue peculiarità: tutti hanno una gran voglia di mostrare le loro caratteristiche e le loro capacità, con lo scopo di donare del loro al centro, per valorizzarlo e migliorarlo sempre di più.

Gran parte del merito lo si deve a Padre Claudio, uno dei tre fondatori del centro, che con la sua saggezza, la sua ironia e la sua forza di spirito riesce da anni a tenere sotto controllo tutto quello che succede.

Le attività proposte nel centro spaziano dallo sport al cucito, da acrobazie a slam, da corsi di lingue a internet. Gli iscritti aumentano di anno in anno, oggigiorno arriva a contare 42000 giovani con una media di frequenza giornaliera di 1000 ragazzi pieni di idee e curiosità. In questo modo il centro è pienamente in grado di raggiungere il suo scopo, quello di dare la possibilità ai ragazzi di avere uno spazio dove confrontarsi pacificamente con i coetanei, dove condividere e dove crescere insieme.

La condivisione sembra accompagnare ogni gesto quotidiano. Ho visto in Burundi gesti di grande pathos e umanità, che non dimenticherò mai e che mi hanno profondamente cambiata. Gesti silenziosi che il solo raccontarli a parole non rende onore alla loro potenza.

Più tardi, quando al ritorno sono andata a vedere uno spettacolo teatrale sul Ruanda, ho capito l’importanza che i Ruandesi, e i loro fratelli Burundesi, danno alla solidarietà grazie a questo detto: “Il regalo entra dalla porta ed esce dalla finestra”.

 

Spero di riuscire a restituire, dalla finestra dei ragazzi burundesi che ho conosciuto, il regalo che loro hanno donato a me e che porterò sempre nel cuore.

Veronica